Un anno con ChatGPT: dal dubbio all’uso quotidiano



Scetticismo iniziale e primo approccio

Immagine di fantasia che rappresenta il cervello di una intelligenza artificiale

Ricordo ancora quando, circa un anno fa, decisi di abbonarmi a ChatGPT Professional con più di un pizzico di scetticismo. Fino ad allora, l’intelligenza artificiale era per me poco più di una parola d’ordine sulla bocca di tutti. Avevo letto articoli entusiastici e ascoltato colleghi dire frasi come “Tranquillo, quel testo lo generiamo in un attimo con l’IA” oppure “Proviamo a dare in pasto il problema all’intelligenza artificiale”.

Ne avevo parlato in un mio post sum mio blog qui: L’intelligenza artificiale un Pappagallo stocastico?

Dentro di me però prevaleva il dubbio: davvero un modello linguistico poteva fare meglio delle mie ricerche su Google o della mia esperienza? O era solo l’ennesimo pappagallo stocastico ben addestrato a ripetere informazioni senza capirle davvero?

Eppure, la curiosità ha avuto la meglio. Mi sono iscritto, ho aperto la chat per la prima volta e ho scritto timidamente la mia prima domanda. Con mia sorpresa, ChatGPT ha risposto in italiano corretto e in modo coerente, quasi come farebbe un collega umano. Nei primi giorni l’ho messo alla prova con domande semplici: fatti storici, chiarimenti su termini tecnici, consigli di programmazione. Ogni risposta aumentava la mia meraviglia. Il mio scetticismo iniziale ha cominciato a sgretolarsi, sostituito da un cauto entusiasmo.

Da Google a ChatGPT: un cambio di abitudini

Smartphone con logo OpenAI sopra ad un laptop

Col passare dei mesi mi sono accorto di un cambiamento sottile ma significativo nelle mie abitudini digitali. Sempre più spesso, anziché cercare su Google, mi ritrovavo a porre direttamente la domanda a ChatGPT. Se prima aprivo il browser e digitavo parole chiave, ora aprivo la chat e formulavo la mia richiesta in linguaggio naturale. Perché? Probabilmente per la comodità di ricevere una risposta immediata e contestualizzata, senza dover filtrare decine di link e annunci sponsorizzati.

Ad esempio, cercando istruzioni su come configurare un servizio o risolvere un errore di codice, ChatGPT mi forniva subito una spiegazione passo-passo, spesso includendo esempi di codice o comandi specifici. In passato avrei dovuto spulciare forum e documentazioni per trovare quelle informazioni. È un po’ come avere un assistente personale che ha già letto tutto e ti riassume solo ciò che ti serve sapere.

Non dico che Google sia sparito dalla mia vita – per certe ricerche molto recenti o per verificare dati specifici rimane uno strumento insostituibile – ma per tante domande quotidiane mi sono reso conto che preferivo la conversazione con l’IA. Ironia della sorte, mi sono scoperto a usare Google principalmente per cercare “ChatGPT non funziona?” quando il servizio era sovraccarico! Questo la dice lunga su quanto ChatGPT sia entrato nel mio workflow quotidiano.

Uomo che a colazione cerca su Google su un laptop nero con un caffè a fianco

Problemi di sempre risolti in pochi minuti

Uno degli aspetti più curiosi di questo anno con l’IA è stato come ha influenzato la mia attitudine al problem solving. Mi sono spesso chiesto: affidandomi a ChatGPT, sto un po’ arrugginendo la mia capacità di ragionare in autonomia? Oppure sto solo ottimizzando il mio tempo, delegando i compiti più noiosi per concentrarmi su quelli creativi?

Il CSS e la parentesi graffa mancante

La risposta è arrivata da una semplice vicenda sul mio blog. Da tempo avevo un problema di spaziatura: in una pagina specifica (quella che vedete con il contenitore blu, l’indice dei contenuti), non si vedeva lo spazio corretto a fianco della sezione dedicata all’indice. Ho chiesto a ChatGPT qualche suggerimento su come sistemare il CSS. Mi ha fornito del codice apparentemente ben strutturato, però, una volta inserito, non funzionava come speravo. Alla fine ho scoperto di aver dimenticato una parentesi graffa nel punto cruciale. Ero quindi io ad aver sbagliato. Ciò che ChatGPT aveva proposto era giusto, ma senza un mio minimo di controllo finale, il problema sarebbe rimasto.

Python e WordPress: piccoli intoppi risolti

In un altro frangente, ChatGPT mi è stato utilissimo per creare piccoli script in Python che mi servivano per monitorare le connessioni attive sulla rete wireless a cui ero collegato. Ancora, con WordPress, mi ha dato una serie di spunti per risolvere parecchi piccoli intoppi che, alla “vecchia maniera”, avrebbero richiesto mezz’ora di ricerche su Google o nei forum specializzati. Oggi invece basta una domanda in chat per avere subito la risposta – o almeno un’ottima traccia da cui partire.

È chiaro, però, che se dieci anni fa avessi trovato quel pezzo di codice in un forum, lo avrei studiato passo passo. Magari avrei imparato un po’ più a fondo come funziona il CSS. Invece, con ChatGPT, tendo a fidarmi di quanto suggerito, perdendo forse un po’ di spirito critico o quella conoscenza che un tempo si accumulava provando, sbagliando e leggendo le discussioni di chi ci era passato prima di me. Ma è anche vero che, come con ogni strumento, l’importante è sapere quando delegare e quando occorre metterci del nostro. In fin dei conti, l’IA resta un mezzo: sta a noi restare vigili e continuare a imparare, senza adagiarci troppo sulle risposte preconfezionate.

Un’amica virtuale per comunicare meglio

Un uso inaspettato che ho iniziato a fare di ChatGPT è stato come supporto nella comunicazione personale e professionale. L’ho scherzosamente ribattezzata “la mia amica AI”. In situazioni di stress o conflitto, ad esempio durante una trattativa difficile con un cliente o davanti a un’email che mi ha irritato, invece di reagire impulsivamente apro ChatGPT e descrivo la situazione. Chiedo: “Come posso rispondere in modo chiaro ma mantenendo un tono calmo e professionale?”. Oppure le sottopongo una bozza del mio messaggio di sfogo, chiedendole di riformularlo in chiave di comunicazione non violenta.

Il risultato è sorprendente. ChatGPT riesce a trasformare le mie frasi cariche di frustrazione in messaggi assertivi ma rispettosi. Mi fa notare dove potrei suonare accusatorio e mi suggerisce alternative più empatiche. È un po’ come avere un consulente di comunicazione sempre disponibile, che ti aiuta a rileggere le tue parole “a freddo” prima di premere invio. Naturalmente il filtro umano resta fondamentale: alla fine decido io quale versione inviare. Tuttavia, avere questo specchio digitale mi ha aiutato a migliorare la pazienza e la chiarezza nelle interazioni. In fondo, parlare con un’IA può sembrare strano, ma se il risultato è un dialogo più sereno con le persone reali, ben venga anche questo insolito tipo di amicizia.

Migliorare il carattere grazie a un consiglio prezioso

Non posso negare che molta di questa riflessione sul mio approccio alla comunicazione e, in generale, sul mio carattere, l’ho avuta grazie a una mia cara amica che conosco da quando è nata (di cui, lo ammetto, sono piuttosto “ammaliato”). Lei mi ha fatto notare come certe mie risposte, soprattutto alle recensioni dei clienti, risultassero in passato troppo informali e talvolta persino sarcastiche, rivelando in modo fin troppo esplicito la mia psicologia e il mio stato d’animo.

Col senno di poi, ho deciso di testare un altro strumento IA, Gemini, in parallelo a ChatGPT, per rivedere e rispondere in modo più professionale alle recensioni ricevute nel tempo. Era un progetto consistente: ben 260 risposte da rielaborare. E, con mia sorpresa, il lavoro ha dato i suoi frutti. Un cliente ha notato come dietro alle nuove risposte si percepisse maggiore professionalità, mentre un altro, che gestisce un hotel, ha subito intuito che erano generate con l’AI. Ha però approvato la scelta, spiegando che anche lui perde spesso la pazienza davanti a recensioni volutamente denigratorie. Un ospite, ad esempio, voleva restare fino a dopo pranzo senza capire che ciò avrebbe impedito di affittare nuovamente la stanza lo stesso giorno.

In situazioni così delicate, affidarsi a un’IA che sappia impostare un messaggio più equilibrato risulta estremamente utile. Si evitano toni troppo forti e si conserva un’immagine professionale. Questo confronto mi ha insegnato che usare l’IA non significa rinunciare alla mia voce, ma semplicemente filtrarla attraverso un aiuto esterno, affinché risulti più chiara e rispettosa.

Oltre ChatGPT: sguardo a Gemini, DeepSeek e Grok

L’interesse per Gemini e DeepSeek

Nel corso dell’anno la scena dell’intelligenza artificiale generativa si è affollata di nuovi attori e alternative. Da curioso quale sono, non potevo evitare di dare almeno una sbirciatina a ciò che stava oltre il mio ormai fidato ChatGPT.

Gemini, il modello annunciato da Google, mi ha intrigato fin dalle prime notizie. Si dice che combini capacità multimodali avanzate e una base di conoscenza immensa, puntando a superare persino GPT-4. Ho letto qualche anteprima e visto in azione alcune demo: la promessa è allettante, perché immaginare la potenza di Google Search fusa con un’IA conversazionale fa sognare qualunque appassionato di tecnologia. Purtroppo, al momento in cui scrivo, Gemini non è ancora disponibile al grande pubblico, quindi le mie sono impressioni teoriche. Resto in attesa di provarlo sul campo, pronto a metterlo alla prova con le stesse domande che pongo abitualmente a ChatGPT.

DeepSeek è un nome emerso con forza, soprattutto dall’ecosistema cinese. Ho avuto modo di testare brevemente una versione in inglese di questo assistente. Devo dire che mi ha colpito la sua velocità e la mole di dati su cui sembra essere addestrato, dato che ha risposto con sicurezza anche a questioni piuttosto tecniche. Tuttavia, ho percepito qualche limite nella comprensione fine delle sfumature della lingua italiana e dei riferimenti culturali (cosa comprensibile, trattandosi di un prodotto non nato nel contesto occidentale). DeepSeek mi ha dato l’impressione di un gigante potente ma forse meno rifinito nell’interazione, almeno per ora. Resta comunque un contendente da tenere d’occhio: la concorrenza globale non può che spingere tutti questi sistemi a migliorarsi rapidamente.

L’arrivo di Grok

Immagine di Grok

Infine Grok, l’intelligenza artificiale di xAI promossa da Elon Musk, ha attirato la mia attenzione con il suo nome tratto dal gergo fantascientifico (to grok in inglese significa “comprendere intimamente”). L’ho provata quando è stata resa disponibile in beta: l’interfaccia integrata in X (Twitter) la rende un po’ diversa da ChatGPT, quasi come chattare con un utente social.

Grok mi ha colpito per il suo tono informale e vagamente ironico nelle risposte, in linea con l’idea di Musk di creare un’IA un po’ più ribelle e “politicamente scorretta” rispetto a quelle tradizionali. È stato divertente chiedergli opinioni su argomenti leggeri e vedere risposte che sembravano strizzare l’occhio, come farebbe un amico spiritoso. Sul piano pratico, però, quando sono passato a questioni più complesse o tecniche, l’ho trovato meno affidabile e preciso di ChatGPT. Grok è giovane e si vede: promette bene, ma per ora rimane un complemento curioso più che un sostituto serio nel mio flusso di lavoro.

Tra fantascienza e realtà: il futuro dell’IA

Il computer di bordo e il sogno dell’interazione naturale

Questo viaggio di un anno con l’intelligenza artificiale mi porta a riflettere su dove stiamo andando. Da appassionato di fantascienza, non posso fare a meno di tracciare paralleli con gli universi immaginari che mi hanno ispirato. In pochi decenni siamo passati dal sognare il computer di bordo della Enterprise, quella voce onnipresente in Star Trek pronta a rispondere a qualsiasi domanda dell’equipaggio, all’interagire con un’entità digitale reale. Anche se è lontana dall’infallibilità della fantascienza, ne rappresenta un primo embrione tangibile. Ogni volta che dico “Ehi ChatGPT” mi sento un po’ come il Capitano Picard quando iniziava una frase con “Computer…”.

Data, i Romulani e il timore dell’IA

E poi c’è Data, l’androide di Star Trek: The Next Generation. Per molti versi ChatGPT è agli antipodi di Data. Lui era un essere meccanico dall’aspetto umano che aspirava a comprendere emozioni e umanità, mentre ChatGPT è un cervello disincarnato, privo di corpo e di sentimenti reali. Eppure, quando dialogo a lungo con l’IA, mi chiedo se stiamo ponendo le basi perché un giorno esista davvero una progenie di ChatGPT capace di avvicinarsi a quel livello di coscienza.

Al momento, la risposta onesta è che siamo ancora lontani. Come ho scritto altrove, per ora nell’intelligenza artificiale non c’è vera intelligenza, ma solo calcolo statistico avanzato. Siamo ben distanti dal poter chiamare queste macchine “senzienti”.

Non tutti però condividono l’entusiasmo verso un futuro popolato da IA sempre più evolute. Nella serie “Picard”, ambientata decenni dopo le avventure di Data, la Federazione ha addirittura bandito le intelligenze artificiali sintetiche per paura delle conseguenze. I Romulani, in particolare, temono che l’IA possa sfuggire al controllo e innescare catastrofi. Questo timore non è poi così lontano dalle preoccupazioni di scienziati e imprenditori odierni (basti pensare ad alcuni avvertimenti di Stephen Hawking o di Elon Musk). Questa dicotomia tra speranza e paura accompagna l’IA da sempre: da un lato c’è la visione utopica di strumenti intelligenti che eliminano fatica e ignoranza, dall’altro l’incubo di creare qualcosa di incontrollabile.

L’incubo dei Borg

Ripenso anche all’impatto che ebbero i Borg quando comparvero per la prima volta. Ricordo ancora lo sconcerto mio e di tanti appassionati in quell’episodio di Enterprise. I Borg rappresentavano l’incarnazione di una tecnologia fuori controllo che assimila ogni forma di vita. Uno scenario che incuteva timore perché eliminava l’individualità e la libertà. È interessante come quel terrore fantascientifico rifletta, in forma estrema, il timore reale che molti hanno oggi: perdere il controllo sulle creazioni tecnologiche. Certo, ChatGPT non è Skynet e non sta assimilando nessuno, ma queste storie ci ricordano di mantenere sempre un occhio critico e responsabile nello sviluppo dell’AI.

Conclusioni di un ex scettico

Tirando le somme di questo anno trascorso con ChatGPT, mi rendo conto di quanto sia stato trasformativo per il mio modo di lavorare e anche di pensare. Sono passato dallo scetticismo alla dipendenza consapevole. Oggi non esito a consultare l’IA per le cose più disparate, dalla risoluzione di un bug alla revisione di una email delicata. Allo stesso tempo, questa esperienza mi ha insegnato che l’IA è uno strumento, potente ma pur sempre uno strumento. L’intuizione, la creatività e l’empatia restano qualità umane insostituibili, quelle che fanno la differenza tra una risposta utile e una relazione significativa.

In fondo, guardo al futuro dell’intelligenza artificiale con ottimismo prudente. Come quella prima volta in cui ho avviato la chat con titubanza, oggi continuo a fare domande a ChatGPT con la speranza di imparare qualcosa di nuovo, ma anche con la consapevolezza che sta a me dare un senso a quelle risposte. Se il computer di bordo della nostra epoca può aiutarci a essere più curiosi, efficienti e persino più umani nell’interagire tra di noi, allora vale la pena continuare questa rotta. Verso nuovi dialoghi, nuove scoperte e – chissà – un futuro in cui l’IA sarà davvero un po’ meno “pappagallo” e un po’ più Data.

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